Demansionamento: conseguenze

Cassazione - Sezione Lavoro: segretaria amministrativa declassata ad operatrice di call center. Respinto il ricorso dell'azienda.

Con la sentenza n. 24293 del 29 settembre 2008 la Corte di Cassazione ha respinto il ricorso presentato da un nota azienda del settore telecomunicazioni che era stata sconfitta in primo e in secondo grado per aver ‘declassato’ un’impiegata amministrativa nell’attribuirle la nuova mansione di operatrice di call center. La Corte d’appello di Roma, nel condannare l’azienda con la sentenza la n.7160/06, aveva elaborato la propria interpretazione alla luce della norma contenuta nell’articolo n. 2103 del Codice Civile che di seguito riportiamo. “Mansioni del lavoratore”: Il prestatore di lavoro deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto (att. 96) o a quelle corrispondenti alla categoria superiore che abbia successivamente acquisito ovvero a mansioni equivalenti alle ultime effettivamente svolte, senza alcuna diminuzione della retribuzione. Nel caso di assegnazione a mansioni superiori il prestatore ha diritto al trattamento corrispondente all'attività svolta, e l'assegnazione stessa diviene definitiva ove la medesima non abbia avuto luogo per sostituzione di lavoratore assente con diritto alla conservazione del posto, dopo un periodo fissato dai contratti collettivi, e comunque non superiore a tre mesi. Egli non può essere trasferito da una unità produttiva ad un'altra se non per comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive. Ogni patto contrario è nullo. Si tratta, evidentemente, di una norma assai chiara, limpida; una norma che difficilmente potrà dare adito a dubbi interpretativi. Tornando ai fatti. Il gestore telefonico, come testé detto, aveva assunto la dipendente con inquadramento da segretaria amministrativa. Dopo averla lasciata inattiva – così parrebbe – per alcuni mesi, l’azienda ha operato il ‘declassamento’ della stessa attribuendole la mansione di operatrice di call center. La Corte di Cassazione ha appoggiato la linea interpretativa adottata dalla Corte d’Appello di Roma ribadendo che “le mansioni di destinazione del lavoratore devono consentire l’utilizzazione ovvero il perfezionamento e l’accrescimento del corredo di esperienze, nozioni e perizie acquisite nella fase pregressa del rapporto”. Nel caso specifico, il call center è stato considerato in quanto struttura ove viene svolta un’attività “elementare” e ripetitiva a tal punto da fare “fossilizzare le capacità” dei lavoratori, e dunque del tutto inidonea ad un dipendente assunto in qualità di segretario amministrativo. Sostanzialmente, dalla sentenza emerge, ed è anzi ribadito, il principio secondo il quale anche a parità di contratto collettivo, i dipendenti non possono essere collocati nei call center se prima svolgevano altre mansioni con maggiori occasioni di crescita professionale.

© Studio Legale Casa Carattini, Avvocati in Parma dal 1955.