Falso in bilancio

Corte di Cassazione: Falso in Bilancio, Amministratore e Consiglieri di una società sono responsabili per il reato commesso da altro socio o coamministratore

Con la sentenza n. 45513 del 9 dicembre scorso, la V Sezione Penale della Corte di Cassazione ha ribadito che l’amministratore di una società è penalmente responsabile per il reato commesso da altro socio o coamministratore allorquando ciò costituisca evento pregiudizievole per la società. In particolare, la Suprema Corte afferma, nella sentenza de qua, il principio secondo il quale in capo ad amministratore e consiglieri della società vi è responsabilità penale concorsuale, per dolo eventuale, in conseguenza di quanto abbiano fatto i coamministratori promotori di un’operazione finanziaria fraudolenta. La loro responsabilità è attuale in quanto essi, pur potendo immaginare e prevenire la conseguente falsa rappresentazione della situazione patrimoniale dell’impresa, non sono intervenuti per impedire l’illecito. Il comportamento di amministratore e consigliere ricorrente nella fattispecie sopra riportata integra, quindi, una “inerzia colpevole”, da cui può discendere pregiudizio per i creditori della società. Riportiamo un estratto importante della sentenza: “Non vi è dubbio che l’affermazione della responsabilità del soggetto omittente (l’amministratore) deve fondarsi sulla prova della conoscenza del reato in itinere in capo all’imputato (coamministratore). Prova che deve essere rigorosa accedendo ad un profilo essenziale della fattispecie di cui all’art. 40, co. 2, c.p., come già affermato da questa Corte (da ultimo cfr. Cass., V Sez., 4.5.2007, PM/c. Amato, n. 23838). “Ma è altrettanto indubbio che, nei reati omissivi, come insegna costante giurisprudenza (a fronte di incertezze della dottrina), la responsabilità concorsuale può ascriversi anche nella forma del dolo eventuale, quando chi agisce si rappresenta la probabilità del fatto illecito e, ciononostante, permanga nella colpevole inerzia, così accettando il rischio della perdita patrimoniale per l’organismo che amministra. Da tanto consegue, ai sensi dell’art. 2740 c.c., la responsabilità per la lesione degli interessi dei creditori”. Il percorso argomentativo della Suprema Corte nasce dall’art. 2392, co. 1, del Codice Civile, ove sono previsti vari obblighi imposti all’amministratore sia dalla legge che dall’atto costitutivo. In particolare, la norma, al secondo comma, accolla agli amministratori il dovere di porre in essere “ogni possibile condotta per impedire eventi dannosi per la società, fra cui – espressamente previsto – ogni obbligo inerente alla conservazione del patrimonio a tutela delle pretese creditorie (art. 2394 c.c.)”. In sostanza, dunque, l’amministratore è responsabile penalmente per l’illecito del socio o di altro amministratore allorquando, benché avesse acquisito consapevolezza di “indici d’allarme”, eloquenti del fatto in itinere, non si sia attivato per impedire il fatto. La responsabilità dell’amministratore non sussiste solo nel caso in cui sia fornita “convincente e legittima giustificazione sulle ragioni che hanno indotto il soggetto all’inerzia”. La Corte precisa inoltre che la prova della responsabilità penale deve cadere anche “sulla capacità di impedimento del fatto, una vota che il preposto alla posizione di garanzia (l’amministratore) abbia percepito l’evenienza dannosa”.

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